Nella nuova formulazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300) , l’installazione di un sistema di videosorveglianza aziendale incontra i margini e i limiti del c.d. “divieto flessibile” dei controlli a distanza dell’attività dei lavoratori. All’interno di tale articolo, al terzo comma viene espressamente richiamato il rispetto delle norme del Codice in materia di protezione dei dati personali, e dunque la liceità di un sistema di videosorveglianza in tutte le sue fasi (dall’installazione al funzionamento e alla conservazione dei dati) non può che essere una tematica trasversale sia di diritto del lavoro che di diritto alla privacy.

A conferma di ciò, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha adottato il Provvedimento in materia di videosorveglianza1 (Provv. 8 aprile 2010, pubblicato in G.U. n. 99 del 28 aprile 2010 ) chiarendo che nel contesto dei rapporti di lavoro (punto 4.1) debbano essere comunque rispettate tutte le «garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è resa necessaria da esigenze organizzative o produttive, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro», fra cui (ai sensi del primo comma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori) il previo accordo collettivo sindacale o, in alternativa, tramite provvedimento autorizzativo ministeriale, le quali possono ben essere lette come condizioni di liceità per il trattamento dei dati svolto.

La giurisprudenza civile (Cass. civ. Sez. IV lavoro, sent. 08.11.2016, n. 22662 ) ha fornito una lettura interpretativa dell’ambito applicativo di tale disciplina prevedendone l’esclusione per i soli «impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, nè risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori».

Il collegamento fra privacy e tutela del lavoratore è reso evidente dalla modifica introdotta dall’art. 23 del D.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 (decreto attuativo del Jobs Act), il quale ha inserito nell’art. 171 del D.lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) la tutela penale per il trattamento illecito dei dati dei lavoratori, prevedendo che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 4, primo e secondo comma, dello Statuto dei Lavoratori sia punita ai sensi dell’art. 38 del medesimo.

La rilevanza penale della carenza di una delle condizioni di liceità del trattamento in materia di controlli sul luogo di lavoro emerge in seguito all’installazione degli impianti di videosorveglianza in difetto di un accordo sindacale o altrimenti dell’autorizzazione ministeriale.

Su tale fattispecie, la giurisprudenza penale si è espressa (Cass. Pen., sez. III, sent. 17.04.2012 n. 22611 ) introducendo l’esimente del valido consenso espressamente prestato da tutti i lavoratori enfatizzando così l’esclusione dell’illiceità in forza del consenso prestato da parte del titolare del bene protetto. Sembra così introdotta in tale ambito una nuova condizione di liceità del trattamento, consistente nel consenso degli interessati.

L’orientamento così formulato non è stato condiviso da una recente pronuncia della Cassazione (Cass. Pen., sez. III, sent. 31.01.2017-08.05.2017 n. 22148 ), la quale è giunta conclusioni diametralmente opposte negando l’efficacia scriminante del consenso acquisito dalla totalità dei lavoratori, richiamando proprio il concetto del bene giuridico protetto dalla norma penale in esame ovverosia la tutela non solo di posizioni giuridiche individuali bensì anche di interessi di carattere collettivo, quale la tutela della dignità dei lavoratori sul luogo di lavoro durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, di cui sono titolari ex lege proprio le rappresentanze sindacali il cui intervento è espressamente previsto.

L’esclusione di tale intervento, secondo le conclusioni della Corte, «produce l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici, in quanto deputate a riscontrare, essendo titolari ex lege del relativo diritto, se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende avvalersi, abbiano o meno, da un lato l’idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza, e di verificare, dall’altro, l’effettiva rispondenza di detti impianti alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza in modo da disciplinarne, attraverso l’accordo collettivo, le modalità e le condizioni d’uso e così liberare l’imprenditore dall’impedimento alla loro installazione », integrando inoltre, secondo un orientamento tutt’ora valido della giurisprudenza di legittimità, la fattispecie di condotta antisindacale di cui all’art. 28 Statuto dei Lavoratori.

Vengono richiamati inoltre gli interventi del Garante per la protezione dei dati personali per cui il trattamento dei dati tramite i sistemi di videosorveglianza al di fuori delle garanzie dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori è illecito pur con il consenso prestato dai lavoratori in forza non tanto di una mera violazione procedurale bensì per violazione dei presupposti di cui all’art. 23, terzo comma, del D.lgs. 196/2003 in forza dei quali «Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se sono state rese all’interessato le informazioni di cui all’articolo 13. ».

La S.C. considera a tale riguardo l’assenza della possibilità di prestazione di un consenso libero e non viziato da parte del singolo lavoratore in ragione della sua posizione di maggiore debolezza nei confronti del datore, e conseguentemente valuta come inderogabile la procedura codeterminativa dell’intervento delle rappresentanze sindacali o, in difetto di accordo, l’autorizzazione da parte di un organo pubblico previa verifica della liceità dei presupposti del trattamento.

Secondo la nuova lettura interpretativa così fornita, peraltro conforme all’orientamento dell’Autorità Garante, dal momento che l’interesse collettivo tutelato dalla norma non è un bene di cui il lavoratore possa disporre, il paradigma generale del consenso dell’offeso viene escluso e quindi non può avere alcuna portata scriminante il consenso dei lavoratori in tutte le ipotesi di controlli in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori

fonte:  sistemi-videosorveglianza-e-altri-controlli-caso-violazione-art-4-statuto-lavoratori-consenso-interessati-non-ha-valore-scriminante-112322.php

Recommended Posts